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L’infanzia trascorsa in un piccolo borgo di pescatori che si affaccia sul versante ionico dello stretto di Messina, i ricordi della vita di mare, la fatica per la sopravvivenza, e ancora le devastazioni della guerra rappresentano alcune delle occasioni – biografiche e culturali– che avrebbero portato Stefano D’Arrigo (Alì Terme, 15 ottobre 1919 –Roma, 2 maggio 1992) a dare vita a Horcynus Orca, uno dei più grandi e complessi capolavori della letteratura italiana e caso letterario alla sua uscita mondadoriana, con 80.000 copie vendute. Opera monumentale di 1256 pagine, a cui il suo autore – critico d’arte, poeta e scrittore – si dedicò per circa venti anni (dal 1956 al 1975, anno di pubblicazione), Horcynus Orca racconta il viaggio di ritorno del «marinaio, nocchiero semplice della fu regia Marina ‘Ndrja Cambrìa» a Cariddi, «una quarantina di case e testaditenaglia dietro lo sperone, in quella nuvolaglia nera, visavì con Scilla sulla linea dei due mari». E se da una parte D’Arrigo fornisce precise indicazioni geografiche e temporali (il quarto giorno, il 4 ottobre 1943, ‘Ndrja Cambrìa arriva all’isola delle Femmine), il viaggio non è solo di movimento, ma diventa anche ricerca di una propria identità, personale e collettiva, e a cui lo stesso lettore non può sottrarsi. E per raccontarla, D’Arrigo inventa un nuovo linguaggio in cui realtà e mito, memoria e storia, presente e passato, sogno e leggenda si intrecciano, si incastrano, si compenetrano innalzando la quotidianità a narrazione epica e universale. Horcynus Orca è allora esperienza intellettuale e sensoriale, esperimento totalizzante, da cui non rimane estranea la grande tradizione letteraria che da Omero porta a Dante Alighieri, che passa per Giovanni Verga e Melville, e che trova nella poesia e nella grande lezione modernista (Kafka, Joyce, Proust) l’indicazione di una nuova lingua. Solo «le parole, combinandosi scombinandosi, finiscono per rivelare verità segrete, difficili altrimenti da conoscere», leggiamo in una pagina di Cima delle Nobildonne (Premio Procida-Isola di Arturo- Elsa Morante e Premio Brancati, entrambi nel 1986). Un viaggio dunque, quello raccontato da D’Arrigo, alla ricerca del mistero della vita e dell’arcano della morte, in quel confine sottile tra il conosciuto e l’ignoto, che condurrà Ndrja Cambria fino a «dentro, più dentro, dove il mare è mare». Gualberto Alvino si è particolarmente dedicato agli irregolari della letteratura italiana, da Consolo a Bufalino, da Sinigaglia a D’Arrigo, da Balestrini a Pizzuto, del quale ha pubblicato in edizione critica Ultime e Penultime (Cronopio, 2001), Si riparano bambole (Sellerio, 2001; Bompiani, 2010), Giunte e Caldaie (Fermenti, 2008), Pagelle (Polistampa, 2010), nonché i carteggi con Giovanni Nencioni, Margaret e Gianfranco Contini, tutti editi dalla Polistampa. Fra i suoi lavori più recenti la curatela di Sconnessioni di Nanni Balestrini (Fermenti, 2008), Peccati di lingua. Scritti su Sandro Sinigaglia (Fermenti, 2009), «Come per una congiura». Corrispondenza tra Gianfranco Contini e Sandro Sinigaglia (Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2015, 2022), Per Giovanni Nencioni, con Luca Serianni, Salvatore C. Sgroi e Pietro Trifone (Fermenti, 2017), i romanzi Là comincia il Messico (Polistampa, 2008), Geco (Fermenti, 2017) e Pelle di tamburo (Caffèorchidea, 2021), le raccolte di saggi critici Scritti diversi e dispersi (Fermenti, 2015), Dinosauri e formiche. Schegge di critica militante (Novecento, 2018), il monologo teatrale La Perfetta (La Mongolfiera, 2021), le sillogi poetiche Rethorica novissima (Il ramo e la foglia, 2021) e Sala da musica (Il Convivio, 2022). Nel 2023 ha pubblicato per Caffèorchidea Maledetta grammatica e nel 2024 per Carocci Scritture verticali. Pizzuto, D’Arrigo, Consolo, Bufalino. Suoi scritti poetici, narrativi, critici e filologici appaiono regolarmente in riviste accademiche e militanti (tra cui «Strumenti critici», «Studi e problemi di critica testuale», «Filologia e critica», «Studi di filologia italiana», «Italianistica», «Studi linguistici italiani», «Filologia italiana», «Ermeneutica letteraria», «Letteratura e dialetti», «Giornale storico della letteratura italiana», «Moderna», «L’Immaginazione», «Il Caffè illustrato», «L’Illuminista», «Fermenti», «Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca», «Microprovincia», «Avanguardia», «Alfabeta2», «In limine», «Italian Poetry Review», «Per leggere», «Malacoda», «il verri», «La lingua italiana», «Steve»), di alcune delle quali è redattore e referente scientifico. Collabora stabilmente con l’Istituto della Enciclopedia Italiana (Treccani) con recensioni e rubriche. Dirige la collana «Vallecchi/Italianistica». Nota: La citazione letta al minuto 4:16 è stata erroneamente attribuita a Italo Calvino. In realtà, si tratta di un passaggio tratto da Primo Levi, La morte scugnizza, inclusa in La ricerca delle radici, Einaudi, 2018, p. 187.