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Nam June Paik è uno di quegli artisti con uno scopo, uno scopo preciso: unire arte e tecnologia per creare un’esperienza di condivisione che racconta di tutti noi e della nostra vita quotidiana. E in questo video scopriamo la sua storia attraverso le sue opere nella mostra appena conclusa alla Tate Modern di Londra. Considerato il padre della videoarte degli anni ‘60 Nam June Paik è oggi riconosciuto come uno degli artisti più influenti della nostra cultura e le sue opere si trovano non solo nei musei ma anche nelle grandi fiere d’arte internazionali, come ad esempio Frieze London. La sua più grande fortuna è stata quella di essere un artista aperto al cambiamento e attento a ciò che gli avveniva intorno. Nato in Corea, infatti, ha poi vissuto in Giappone, Germania e Stati Uniti. Così ha conosciuto grandi artisti come John Cage e Joseph Beuys mettendo in discussione non solo i confini tra oriente e occidente ma anche quelli fra arte e musica e arte e tecnologia. Il suo lavoro è fatto di scultura, installazione, musica e trasmissione televisiva. E la mostra alla Tate inizia proprio con alcune delle mie opere preferite in cui protagonista è la televisione. TV GARDEN del 1974 è l’idea di futuro di Nam June Paik. Un paesaggio in cui tecnologia e natura si uniscono. Sempre dello stesso anno TV Buddha in cui una piccola scultura di Buddha fissa la sua immagine mandata in onda sulla TV che ha di fronte. Una sorta di specchio tecnologico che ci racconta come siamo abituati a immergerci nella TV nella nostra vita quotidiana. Televisione che è svuotata in una delle ultime opere di Paik: One Candle del 2004. Al suo interno solo una candela, simbolo di silenzio e meditazione sia nelle culture occidentali che in quelle orientali. Ma i lavori di Nam June Paik non sono solo fatti di televisioni, ma anche di musica. Il pianoforte lo ritroviamo in diverse opere sia di John Cage che di Nam June Paik. Il suo utilizzo però è differente. Cage fa emettere allo strumento dei suoni casuali grazie all’utilizzo di oggetti o cibo al suo interno. Mentre Paik in lavori come Prepared Piano decide di incollare alcuni dei tasti o di appoggiare altri oggetti come il filo spinato che costringono il pianista ad adattarsi mentre suona. L'elemento principale è ovviamente la casualità. Vale lo stesso anche in lavori completamente diversi come Zen for Wind dove il vento suona uno strumento inventato da Paik con materiali casuali che emettono suoni tutti diversi. Ma anche in Random Access del 1963 che significa appunto “accesso casuale”. All’inizio degli anni ‘60 Paik inizia a creare non solo con la musica ma anche con le trasmissioni televisive. Ad esempio in Participation TV si capisce già dal titolo che la TV è per tutti e di tutti e si entra nell’opera partecipando. Il suo scopo era quello di rendere la tecnologia più vicina all’uomo. È stata inventata dall'uomo e per l’uomo. Così nascono anche i TV Robots. In Aunt and Uncle crea due robot fatti interamente di televisioni. Ma fanno parte di un gruppo più numeroso di familiari. Questa mostra alla Tate è stata per me un'occasione fantastica per scoprire anche alcuni oggetti del suo studio. Ma sono contenta anche di aver visto tutte insieme per la prima volta alcune delle sue installazioni. Ad esempio, Internet Dream del 1994. Paik voleva utilizzare le tecnologie per condividere e distribuire l’arte e sviluppare un’interazione con chi partecipa alle sue opere e con altri artisti. Le sue collaborazioni non sono solo con altri artisti visivi ma anche con musicisti. Ad esempio la violoncellista Charlotte Moorman con cui ha lavorato per quasi trent’anni. Un’altra famosa collaborazione è stata quella fra Nam June Paik e l’artista tedesco Joseph Beuys. Dopo essersi conosciuti in Germania in occasione di una mostra del Gruppo Zero negli anni ‘60 non si sono più separati. L’opera di Paik che racconta meglio questo interesse condiviso è sicuramente The Mongolian Tent, realizzata per la Biennale di Venezia del 1993. Un’altra opera importante della Biennale del 1993 è la “Cappella Sistina”, che è stata ricostruita alla Tate per la prima volta dopo quasi 30 anni. Un elogio e un riassunto della carriera di Nam June Paik. Io sono uscita dalla mostra alla Tate con l’idea che ognuno di noi possa nel suo piccolo raccontare e condividere le proprie esperienze nel mondo dell’arte, sia da artista che ovviamente come me da appassionato. Ognuno con i propri strumenti ma sempre con l’idea di voler lanciare un messaggio positivo. --- Seguimi sui social e sul mio blog: Art and the Cities è il mio blog personale e canale Youtube di arte e viaggi. O meglio di viaggi d'arte. Non vi parlo solo di storia dell'arte ma anche di viaggi, musei, gallerie, mercato dell'arte, storie d'amore, libri, mostre e tanto altro. » blog: https://artandthecities.com/ » instagram: / artnthecities Al prossimo video! Clelia