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Composta a Recanati nel 1829, “La quiete dopo la tempesta” affronta il problema della natura della felicità, giungendo alla conclusione che i rari momenti di piacere concessi all’umanità sono soltanto il risultato della cessazione del dolore, del timore e della pena. E che la vera quiete non può essere raggiunta che con la morte, il solo evento in grado di risanare ogni sofferenza. Il canto inizia con un ampio quadro di vita campestre ritratta nei momenti che seguono una tempesta: gli animali fanno festa, il cielo si rasserena, ogni cuore si rallegra e tutti tornano alle abituali attività. Sono questi, osserva Leopardi, i momenti in cui la vita è più gradita, ma nei quali ci rendiamo anche conto, con sgomento, che il piacere è «figlio d’affanno», una «gioia vana frutto del passato timore». Dunque la felicità può esistere solo per qualche fuggevole istante e solo per contrasto con il male appena vissuto o paventato: «Uscir di pena è diletto fra noi». E questo, osserva Leopardi nello Zibaldone, «non solo perch’essi mali danno risalto ai beni, e perché più si gusta la sanità dopo la malattia, e la calma dopo la tempesta: ma perché senza essi mali, i beni non sarebbero neppure beni a poco andare, venendo a noia, e non potendo la sensazione del piacere durar lungo tempo». Pessimismo e teoria della noia come essenza della vita umana si intrecciano dunque in versi di altissima poesia. Sino all’amara e ironica conclusione: già abbastanza fortunata e contenta, l’umanità, se può avere sollievo dal dolore, e addirittura beata quando la morte la libera per sempre dalla fatica di vivere. Un’ironia che si sostanzia negli appellativi “O natura cortese” e “Umana prole cara agli eterni!”, che secondo una collaudata tecnica retorica negano quanto sembrano affermare. Dal punto di vista metrico, “La quiete dopo la tempesta” è una tipica canzone libera leopardiana, ossia una canzone di derivazione petrarchesca in cui vengono meno le tradizionali regolarità: le stanze (o strofe) sono composte da un numero diseguale di versi, la successione di endecasillabi e settenari non segue uno schema preciso, le rime sono trattate con la massima libertà, e spesso assenti. Lo stile è fluido e molto musicale, soprattutto nella prima parte. Nella seconda, emerge con limpidezza la forza speculativa di Leopardi e, al contempo, la sua ineguagliata capacità di tradurre il pensiero in versi di grande eleganza ed essenzialità. Descrizione tratta da: Giacomo Leopardi, Poesie e prose, Volume primo: Poesie, Meridiani Mondadori, 1987 #leopardi #poesia #letteraturaitaliana #maturità