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Ultime lettere dalla steppa: oggi vi raccontiamo la storia di un fante che non tornò dalla nostra malaugurata spedizione sul fronte russo e lo faremo ripercorrendola attraverso la corrispondenza che Antonio Bello, un soldato ventenne nativo di Monastier, piccolo centro alle porte di Treviso, inviò alla famiglia a partire dalla seconda metà del 1942, epoca del suo arrivo sul fronte orientale. I suoi scritti sono oggi conservati negli archivi dell’Istituto Storico Trevigiano. Antonio fa parte di una grande unità, la divisione di fanteria “Vicenza”, che è stata messa insieme, con un addestramento sommario, arruolando giovani reclute e richiamando in servizio uomini un po’ in là con gli anni. Non ci si fanno troppi problemi perchè tanto la Vicenza, il fronte non dovrà nemmeno vederlo. Rimarrà nelle retrovie, per presidiare il territorio che abbiamo invaso. Ma poi accade l’imponderabile che forse tanto imponderabile, non è. Il 19 dicembre 1942 la «Vicenza» si ritrova sulla riva del Don, dove non avrebbe mai dovute essere, schierata in prima linea, nel tentativo senza speranza di provare ad arrestare l’avanzata degli agguerriti corpi corazzati sovietici. Siamo entrati non invitati in casa d’altri: e agli sfortunati uomini e ragazzi della divisione di fanteria «Vicenza», assieme a migliaia di altri combattenti italiani, tocca ora l’ingrato compito di dover pagare il conto. In quell’inverno fra il 1942 e il 1943 sono loro a dover sopportare il peso degli errori che il regime ha commesso. Agli inizi di dicembre del 1942 la divisione Vicenza viene trasferiata alle dipendenze del corpo d’armata alpino che se ne dovrebbe servire sempre come unità di seconda linea. Il viaggio di Antonio Bello e dei suoi compagni sembra arrivato alla fine. I fanti della Vicenza, per certi aspetti, come percepiremo le lettere di Antonio, quasi ricordano l’equipaggio del pattugliatore fluviale, la Patrol Boat River che risale il fiume Nang, in Apocalpyse Now, il famossissimo film di Martin Scorsese, equipaggio che è impegnato in un viaggio surreale dentro il ventre della guerra, un viaggio di cui nessuno conosce lo scopo nè la destinazione finale. Nemmeno i fanti della Vicenza hanno idea del destino che li attende e non sanno che anche il loro viaggio è destinato a finire metaforicamente, proprio sulla riva di un fiume, il Don. C’è una canzonetta molto in voga nell’Italia di quegli anni «La famiglia Brambilla» si intitola. «Sulla vecchia Balilla s`avanza, la famiglia Brambilla in vacanza…» recita il testo che descrive una famiglia vociante e chiassosa, in partenza le ferie estive, in un disordinato clima di festosa confusione. Così appare, al suo arrivo in zona d’operazioni, la divisione Vicenza agli alpini che infatti la ribattezzano subito «Divisone Brambilla» e non sanno farsi una ragione del fatto che questi soldati così improvvisati si trovino laggiù. Come tristemente ci riveleranno le lettere di Antonio Bello, che descrivono la quotidianità dei ragazzi della divisione Vicenza sul fronte russo, questi uomini non hanno idea di ciò che sta accadendo in quel feroce dicembre del 1942 e tra di loro circola addirittura la voce che il Natale del 1943 lo trascoreranno tutti a casa in Italia. Fra gli italiani in genere, la percezione del pericolo che minaccia la nostra 8° Armata sul medio Don, è comunque scarsa.