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Sette ore e mezza in sala operatoria per restituire parola, gusto e sensibilità a una giovane professionista sanitaria. È la storia di Sara Trocani, 30 anni, infermiera sarda trasferita in Veneto per lavoro, che all’ospedale dell’Angelo di Mestre ha affrontato un complesso intervento di asportazione e ricostruzione della lingua, guidato dal primario di Otorinolaringoiatria Doriano Politi insieme al collega di Chirurgia plastica Eugenio Fraccalanza. La diagnosi di carcinoma squamoso, arrivata a seguito di una biopsia, aveva sconvolto la vita di Sara. Giovane, senza fattori di rischio, si era trovata davanti a un percorso inatteso e difficile. Proprio lei, che durante gli studi aveva assistito in sala operatoria a interventi analoghi, si è ritrovata dall’altra parte del lettino operatorio. L’INTERVENTO La massa tumorale, grande quanto una noce, ha reso necessaria l’asportazione della metà anteriore della lingua. Per la ricostruzione è stato utilizzato un lembo cutaneo dell’avambraccio sinistro con le relative arterie, vene e nervi, reimpiantati con tecniche di microchirurgia vascolare e nervosa. Due équipe specialistiche hanno lavorato contemporaneamente, ottenendo un risultato considerato ottimale: la nuova lingua ha riacquistato sensibilità, movimento ed elasticità. “Sembra un miracolo, ma è l’ultima frontiera della medicina”, commentano i chirurghi. All’ospedale dell’Angelo questo tipo di intervento ha raggiunto nel 2025 una media di due procedure al mese. IL PERCORSO DI CURA Dopo l’operazione, Sara ha affrontato radioterapia, chemioterapia e logopedia. Un cammino impegnativo che l’ha segnata profondamente, ma che ha trasformato lo sgomento iniziale in determinazione. “Diventare paziente è stata la sfida più dura della mia vita – racconta –. Ho scoperto una forza che non credevo di avere e voglio trasmetterla a chi sta affrontando la stessa esperienza. Ora voglio tornare alla mia vita, al lavoro, ai viaggi, allo sport. E riprenderla ancora più intensamente di prima”. LA RIFLESSIONE DEL MEDICO La vicenda ha fatto riflettere anche il primario Politi sulla delicatezza della comunicazione delle diagnosi. “Nonostante la mia esperienza, ho capito che le parole usate in quel momento hanno ferito profondamente Sara. Per questo ho deciso di intraprendere un percorso formativo specifico per comunicare le cattive notizie con maggiore tutela psicologica dei pazienti”.