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Serio, preparato, formale, ma non per questo freddo, e ancor meno distaccato. Emozionato. Questo sì. E anche un po' preoccupato, forse, preoccupato di dire le "cose in maniera precisa, in modo che non possano venire fraintese, poi". Lo rassicuro, anche perché mentre Andrea si racconta, mi rendo immediatamente conto che le sue parole non possono avere che una sola interpretazione: la sua. Però capisco la sua remora e l'ansia che questa gli crea. Andrea è un ispettore capo e svolge il suo lavoro sì con serietà, sì attenendosi alle regole, ma mettendoci cuore e passione, anche, e immagino che tema che "cuore" e "passione" possano in qualche modo fargli lo sgambetto. Lo rassicuro di nuovo. Andrea dirige l'ufficio matricola della Casa di Reclusione di Vigevano, "il cuore del carcere", per usare le sue parole. Un tempo, quando gli agenti erano "guardie" e appartenevano ad un corpo militare, i compiti della "matricola" si esaurivano con la registrazione dei "nuovi giunti", le famigerate fotografie, l'acquisizione del fascicolo personale e l'assegnazione della cella. Da quando "le guardie" sono diventate agenti di polizia penitenziaria, un corpo ad ordinamento civile, le mansioni sono aumentate e i requisiti personali per svolgere bene il proprio dovere alla "matricola" sono molto cambiati. Oggi, mi spiega Andrea, l'ufficio matricola ha il compito di intercettare eventuali tratti critici dei nuovi detenuti, acquisendoli dalle carte, ma anche attraverso la proprio sensibilità. Una "matricola" che funziona, ad esempio, evita di obbligare alla convivenza coatta detenuti che presentano espliciti contrasti di carattere etnico o religioso o politico. Cerca di favorire, nel limite del realisticamente possibile, l'integrazione. Monitora i soggetti più fragili, e quei detenuti che mostrano tratti psicologici a rischio. «La matricola è un po' un radar.» - dice ad un tratto ed è impossibile non cogliere l'espressione di orgoglio e soddisfazione. E questo radar si fa carico anche di sondare tra le caratteristiche positive dei vari detenuti, per poi segnalarli, come nel caso di Vigevano, alla "trattamentale" e in seguito a bee.4 per un posto di lavoro al call center. Andrea stesso riconosce l'efficacia del lavoro come strumento di rieducazione/riabilitazione/cambiamento. Il lavoro in carcere contribuisce ad abbattere l'incidenza delle rivolte e dei contrasti più violenti tra detenuti, senza però scordarsi mai che si tratta sempre e comunque di una casa di reclusione. Il lavoro però, sempre secondo Andrea, contribuisce a restituire valore al tempo che il detenuti sono costretti a passare in carcere, offrendo loro una reale possibilità di riscatto e di cambiamento