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Chiedi chi era Civolani, potrebbero cantare gli Stadio fra qualche anno. Ti risponderanno che era un Giornalista, di quelli con la G maiuscola, di quelli che la sera portava a casa “il pezzo”. Lo faceva dal 1957, il Civ, morto ieri all’età di 84 anni dopo una lunga malattia. Era talmente intrinseco nel mondo bolognese che per tre giorni avevano annunciato il suo decesso, quasi come accadde a Breznev negli anni Ottanta. Lui che aveva conosciuto i più grandi, che aveva lanciato i più famosi, che aveva raccontato per Tuttosport e poi per il Corriere dello Sport - Stadio Olimpiadi e Campionati del Mondo, il calcio ed il basket, i suoi amori declinati con la B maiuscola, quella di Bologna, la sua città, che amava più di se stesso, che per lui è stata madre, sorella, figlia, amante e amica, benigna e matrigna. Il Civ è stato uno straordinario affabulatore televisivo, ma soprattutto, Gianfranco Civolani è stato un raffinato conoscitore di sport, di donne e di uomini, di animi umani, di aneddoti, episodi, momenti, retroscena, racconti semplicemente perché come tutti i puledri di razza di una stagione formidabile per questo mestiere, le cose le vedeva, le annusava, le toccava, da “Giornalista da marciapiede” come titolò il libro dello scorso Natale, perché il Civ usciva con un libro all’anno e badate, non era solo calcio. Piuttosto era cultura, raffinata cultura e amore per buna città, non era solo il Bologna, per il quale avrebbe dato un dito della mano destra o tutti i sigari che si sarebbe fumato da lì all’ultimino giorno, ma era la vita. Che ha vissuto raccontandola al mondo, raccontando le vite degli altri. Giacomino Bulgarelli il suo nume tutelare, la Torre di Maratona la finestra di fronte, le regazze del basket il suo cruccio, il Bologna del ‘64 ma anche Baggio e Signori, Ulivieri e Mazzone i suoi soggetti preferiti, bastone e carota, caustico e dolce, bonario e incazzoso, mai banale, senza regalare nulla a nessuno. Egocentrico, permaloso, capace di scavare dal baule dei ricordi gemme d’oro zecchino, implacabile fuoriclasse come non ne nasceranno più. Di lui si narrano leggende, che ora diventeranno favole come quella volta che in viale Ceccarini a Riccione si sente chiamare “Hey Civ”, si volta ed era Pelè. E’ stato bello crederci, come è stato bello conoscerti, leggerti, ascoltarti e ringraziarti, tu che hai lasciato detto di non volere i funerali ma solo un saluto così, sventolando la tua mano sinistra, come facevi quando ci salutavi dallo scatlone. Stacci benone, vecchio Civ e non te la prendere se lassù qualcuno non la pensa come te, mica tutti hanno conosciuto Pelè.