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Nel 2016 alle Olimpiadi di Rio, la rappresentanza italiana era composta quasi per metà da atlete donne. E vincenti. Ma paradossalmente una legge del 1981, sulla quale il Parlamento non è mai più intervenuto, stabilisce che nessuna disciplina sportiva femminile può essere considerata agonistica. Il che significa che, formalmente, tutte le atlete italiane sono dilettanti, quindi prive di quei diritti e di quelle tutele proprie degli atleti agonisti: assistenza in caso di infortuni, maternità, malattia, ferie, Tfr. Nonostante le donne nello sport italiano stiano ottenendo dei riconoscimenti fino a qualche anno fa impensabili “rimangono sportive di serie B”. Una condizione che crea discriminazione anche sul piano economico, dagli investimenti nel settore fino ai premi per le classifiche: rimborsi e ricompense sono uguali per gli uomini e per le donne solo per le Olimpiadi, ma quando si tratta di campionati mondiali o europei, i premi per le atlete sono in genere inferiori di circa il 30%. Quello legato alla maternità è un problema che investe molte atlete, con conseguenze mortificanti e lesive delle carriere sportive, come nel caso di Nikoleta Stefanova, campionessa italiana di tennis tavolo, esclusa dalla squadra olimpica di Rio per aver saltato alcuni raduni previsti dalla Federazione a causa della gravidanza. Più in generale, l’unica possibilità che un’atleta ha oggi di praticare uno sport agonistico, godendo delle tutele previste dal contratto di lavoro, è quello di entrare in un gruppo sportivo militare. Luisa Rizzitelli, ex pallavolista, oggi giornalista e presidente di Assist, associazione per la difesa dei diritti delle donne nello sport, si batte per tutelare e rappresentare i diritti collettivi delle Atlete di tutte le discipline sportive operanti a livello agonistico, e degli operatori e operatrici del settore (allenatori, manager sportivi, professionisti della comunicazione). Lucia Castelli, insegnante, già agonista sci di fondo e scialpinismo, psicopedagogista del settore giovanile Atalanta sottolinea come sussistano ancora oggi pregiudizi di carattere socio-culturale, che vedono le donne inadatte a determinati sport prettamente maschili (calcio, ciclismo, pallacanestro, pallanuoto, per esempio) nei quali, invece, oggi eccellono. Interviste di Silvia Valenti