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Giuseppe, Pasquale, ma potremmo trovare anche un Vincenzo, un Antonio e tanti altri nomi dal sapore meridionale, appartenenti ad un passato ormai quasi dimenticato. La loro storia é composta da una serie di innumerevoli scene di vita che, come in un caleidoscopio, formano quella che può essere dentificata una "testimonianza rara". Vissuti pieni di contraddizioni, che si intersecano con la realtà, contribuendo alla formazione di quelli che possono essere definiti gli ultimi basilischi. Questa la realtà che Giuseppe Colosimo e Pasquale Aiello, accompagnati da Giuseppe Gallo alla Zampogna di Soveria, ci testimoniano, facendoci assaporare, anche solo con una "cantata", quella che poteva essere la realtá quotidiana di un Meridione dove la quotidianità prevedeva lo scambio e la partecipazione attiva nel creare quella musica sia "di lavoro" che "di intrattenimento". Le stesse musiche che l'etnomusicologo Alan Lomax, in viaggio di ricerca sul campo in Europa negli anni 50, non poté ascoltare né documentare. Lo strumento suonato da Giuseppe Gallo é la riproposizione di una "liuteria territoriale" di sapore popolare, non colta, non specialistica e per questo motivo ancora più preziosa in quanto pone la sua forza espressiva, sulla irreperibilità e unicità che la costruzione dello strumento stesso le conferisce. La testimonianza che ci regalano con le cantate estemporanee alla Zampogna, appartiene a quella Calabria degli anni 50 che non ha goduto pienamente di quel boom economico che di li a poco, come Pasolini aveva intuito, avrebbe fatto piazza pulita della spontaneitá, dell'inventiva nel ricreare quanto la quotidianità richiedeva in modo naturale.