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Impiegati 200 uomini, azzerata la cosca. A tirare le fila un imprenditore irpino con la copertura dei militari Ci sono anche quattro uomini della guardia di finanza tra le 58 persone ritenute affiliate al clan camorristico Cava, egemone tra il Nolano e l'Avellinese e arrestate con l'accusa di associazione mafiosa ed estorsione. Gli investigatori della Dda di Napoli che hanno coordinato l'operazione denominata «Slot» contestano ai destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere una serie di reati connessi al noleggio e all'installazione di macchinette videogioco illegali e l'imposizione di prodotti di società vicine ad appartenenti al clan Cava, che aveva esteso i propri affari oltre che nelle province di Napoli e Avellino, in quelle di Salerno, Caserta, Roma, Firenze, Parma e Ascoli Piceno. Nel corso dell'operazione che ha visto l'impiego di oltre 200 carabinieri, unità cinofile ed elicotteri, sono stati sequestrati beni mobili e immobili, conti correnti bancari, società attive nel settore alimentare, della fornitura del caffè, per un valore di 4 milioni di euro. A muovere le fila della organizzazione l'imprenditore avellinese Armando Della Pia, che, considerato organico alla cosca, attraverso una rete capillare di corruzione poteva contare su connivenze nell'ambito della pubblica amministrazione oltre a coperture tra le forze dell'ordine. Da qui gli arresti di quattro finanzieri in servizio presso i comandi di Avellino e provincia. Qualche settimana fa, era il 7 giugno scorso, un altro duro colpo era stato inferto al sodalizio criminale di Quindici che da oltre trent'anni si contende con gli storici rivali del clan Graziano la leadership delle attività illecite sul territorio del Nolano e dell'Avellinese. A finire in carcere furono 49 presunti affiliati al clan. Nell'operazione condotta congiuntamente dagli agenti delle squadre mobili delle questure di Avellino e Napoli, furono inoltre sequestrati beni per oltre 160 milioni di euro. Nella rete delle forze dell'ordine finirono tra gli altri Biagio Cava, storico «padrino» del clan, Bernardo Cava, e Salvatore Cava. I tre, già detenuti in carcere, secondo gli inquirenti continuavano, dalle proprie celle, a tenere in mano le redini del sodalizio camorristico