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In questo estratto illuminante l'esperto allenatore Julio Velasco condivide la sua saggezza e le filosofie che hanno guidato le sue squadre verso il successo, offrendo prospettive cruciali sull'allenamento, le dinamiche di squadra e la gestione delle emozioni. Autonomia e saggezza in campo Velasco rivela l'obiettivo generale che ha proposto alle sue giocatrici: essere autonome e autorevoli. Le atlete devono sapere di pallavolo e cosa fare in ogni momento, senza dipendere dall'allenatore. Egli disapprova l'allenatore che sta accanto alla riga, in quanto ciò trasmette un messaggio inconscio e sbagliato: “se non ci sono io, voi non sapete cosa fare". Le virtù necessarie sono già dentro i giocatori, il ruolo dell'allenatore è tirarle fuori. Un concetto fondamentale nel suo approccio è la capacità di “saper giocare male”. Quando la squadra gioca peggio dell'avversario, bisogna saper giocare quei momenti difficili, limitando il controllo dell'avversario sui punti. Il mito del gruppo unito Velasco critica l'idea che la vittoria derivi semplicemente dall'essere un "gruppo unito" o "una famiglia", scherzando sul fatto che le famiglie generano "un sacco di casini". Sebbene un gruppo affiatato faciliti la convivenza quotidiana (viaggi, pasti, convivenza di lungo periodo), ciò che veramente controlla e limita gli interessi individuali è il grande obiettivo che la squadra si pone. L'obiettivo deve essere così importante da subordinare gli interessi personali. Le simpatie o le antipatie individuali non devono influenzare il modo in cui i giocatori agiscono in campo, ad esempio nell'eseguire una copertura. La gestione dell’errore e della paura Velasco ha lavorato intensamente per non dare troppa importanza all'errore, un aspetto cruciale soprattutto nel settore femminile. Le giocatrici sono autoesigenti e odiano sbagliare e urlare contro di loro quando sbagliano è inutile, dato che l'ultima cosa che vorrebbero è commettere un errore. Il concetto di paura è ricorrente. Velasco afferma che la paura c'è sempre. Il coraggioso non è colui che non ha paura, ma colui che sa affrontare le proprie paure. Mentre il tifoso ha la paura più grande perché non ha controllo, il giocatore e l'allenatore ne hanno meno perché possono agire. Per gestire la paura, Velasco ricorre all'aggressività tecnica e mentale. Egli ha spiegato alle sue atlete che dovevano essere come le "orse" che proteggono i loro piccoli (la partita), un'immagine usata per spiegare l'aggressività femminile, che è diversa da quella maschile (più fisica). L'aggressività è fondamentale perché quando si è aggressivi, si gestisce meglio la paura e si va in avanti. Velasco sottolinea inoltre che è vitale giocare con quello che si ha, non con quello che "dovrebbe essere": se il livello è 5, bisogna giocare a livello 5, non fallire cercando di raggiungere il livello 8. Il ruolo dell’allenatore Secondo Velasco, non è l'allenatore che sa mille cose ad essere il migliore ma quello che riesce a trasmettere la conoscenza. Il migliore allenatore è colui i cui giocatori sanno di più, anche se lui conosce meno di un altro collega. L'obiettivo è fare in modo che i giocatori sappiano giocare e prepararsi bene. Velasco riflette anche sull'emozione dello sport, che non è calcolo o ragionamento ma emozione pura, paragonabile solo alla musica come grande spettacolo del mondo moderno. Riguardo alle vittorie, come le 36 partite consecutive vinte (un traguardo che ha portato al titolo “Le Invincibili”), ricorda che dopo ogni vittoria il campionato successivo riparte da zero punti.