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Il questore di Taranto, Stanislao Schimera, dice “la città non è dei clan, la città è nostra, è dei cittadini”, e lo fa volutamente riprendendo e ribaltando le parole di Mimmo Di Pierro uno dei capi arrestato all’alba dagli uomini della Polizia diretti da Angela Rogges. Di Pierro che in una intercettazione telefonica il giorno prima della sua scarcerazione dice “La città è nostra, è nostra”, come in una sorta di imprimatur criminale che mette nelle mani degli eredi della mafia tarantina anni ’90 il controllo di buona parte del centro cittadino. Cosimo Di Pierro per questo riceve anche l’investitura di “Santa”: il quarto grado dei livelli di gerarchia usati dalla ‘ndragheta a cui i tarantini si ispirano. Un gergo e un rituale fatto di sangue e litanie propiziatorie in faccia ai santi che Di Pierro riceve in casa sua direttamente dalle mani di Ignazio Taurino nella gerarchia più alta della mala tarantina e alla presenza di Cosimo De Leonardo (uno dei quattro ancora latitanti). Santini bruciati e patti di sangue, anche se i santi in questa vicenda non c’entrano nulla. Esiste solo quello che Motta, il Procuratore Capo della Direzione Distrettuale Antimafia chiama “criminalità ruvida ed efferata”, che dal 2015 ad oggi ha fatto affari con la droga, le estorsioni, il traffico di armi e le rapine in un modus operandi fatto di capi e giovani picciotti braccio armato dell’organizzazione. Per questo sono stati fermati dagli uomini della Mobile su disposizione dell’antimafia e della procura di Taranto, 33 persone ritenute responsabili a vario titolo di “associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, tentato omicidio, estorsione aggravata, rapina, detenzione illecita di armi clandestine, danneggiamento aggravato dal metodo mafioso” L’operazione ha consentito di assicurare alla giustizia tre pluripregiudicati a capo degli omonimi clan: Mimmo Di Pierro (61 anni), Gaetano Diodato (47 anni) e Nicola Pascali (37 anni), un tempo rivali ed ora alleati. Mafia che riesce ad esercitare un fascino criminale non solo su giovanissimi senza lavoro ma anche sulle donne del clan che in questa indagine, come in quella della settimana scorsa ad opera della Guardia di Finanza (guarda quì) cambiano ruolo assurgendo a compiti differenti. Non più solo postine ma protagoniste delle attività criminali e bramose di ricevere il battesimo di affiliazione. Il provvedimento di fermo è stato emesso anche nei confronti di Daniele Angelini (25 anni), Calogero bonsignore (54 anni), Giuseppe Cantore (35 anni), Antonio Ciaccia (28 anni), Massimiliano Cocciolo (41 anni), Giuseppe D’Addario (39 anni), Massimo D’Addario (44 anni), Egidio De Biaso (36 anni), Francesco De Santis (47 anni), Angelo Di Pierro (25 anni), Cristian Galliano (28 anni), Luigi Giangrande (30 anni), Emanuele Giannotta (34 anni), Cosimo Inerte (23 anni), Riccardo La Barbera (52 anni), Tommaso Liuzzi (47 anni), Valentina Loperfido (21 anni), Francesco Mancino (25 anni), Cosimo Marinò (23 anni), Davide Montella (25 anni), Cosimo Nitti (44 anni), Gabriele Pignatelli (29 anni), Piergiuseppe Pontrella (22 anni), Luana Rossano (26 anni), Andrea Sansone (26 anni), Davide Sudoso (42 anni), Ignazio Taurino (60 anni), Erminia Terrasi (31 anni), Egidio Turbato (47 anni). Particolare la posizione di Francesco Micoli (45 anni), già incappato nelle maglie della legge nell’Operazione Duomo. A lui è stato contestato il concorso esterno in associazione mafiosa, in quanto era l’uomo che provvedeva alle bonifiche da possibili strumenti d’intercettazione nei luoghi della mala. Un lavoro che stando le risultanze delle indagini non avrebbe svolto al meglio!