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Non intervengo per un esercizio retorico, ma perché voglio sottolineare come questa legge di bilancio è stata portata qui con un metodo che mortifica il Parlamento e con contenuti che strappano le regole costituzionali e quelle del buon senso istituzionale. Per questo il Partito Democratico insiste sulla pregiudiziale: non è un cavillo, ma una richiesta di rispetto della democrazia parlamentare. Parto dai fatti, perché i fatti inchiodano più di qualsiasi aggettivo. Il disegno di legge è stato presentato il 22 ottobre 2025, assegnato in Commissione il 30 ottobre, con termine emendamenti al 14 novembre. Soltanto il 16 dicembre la Commissione ha iniziato l’esame nel merito. Questo è il vostro metodo per “collaborare con le opposizioni” alla formazione della legge più importante dell’anno? E allora diciamolo chiaramente: è stato perso molto tempo. Ma non “tempo del Parlamento”: tempo del Paese. Due mesi buttati via tra stop and go, riscritture, figlie di liti interne, che poi sono sfociate in maxi-emendamento prima presentato, poi ritirato, poi ripresentato. Il caos più totale. Avete così compresso il tempo per capire, discutere, migliorare. Lo dico sinceramente, il rischio dell'esercito provvisorio, questa volta è stato concreto. Questo non è governare: è mettere la democrazia con le spalle al muro. Non lo diciamo solo noi. La Corte costituzionale vi ha più volte ricordo che il ruolo del Parlamento nel procedimento legislativo va rispettato “nel suo significato sostanziale”, perché la funzione legislativa affidata alle Camere serve a consentire a maggioranza e opposizioni di contribuire “cognita causa” alla formazione del testo. E lo dice con particolare forza proprio sulla legge di bilancio, dove “si concentrano le fondamentali scelte di indirizzo politico” e si decide “della contribuzione dei cittadini” e della destinazione delle risorse pubbliche. È la sostanza della nostra forma di governo. Questa manovra è stata “aggiustata” perché non reggeva: servivano risorse per finanziare modifiche rilevanti e, quando ci si è accorti che i conti non tornavano, si è cercato di rimetterli in piedi in extremis. E come spesso accade quando si lavora male, le scelte diventano le più facili e le più ingiuste: fare cassa dove si pensa che il costo politico sia più basso, a partire dalle pensioni. Ma la pregiudiziale non riguarda solo il metodo. Riguarda anche, e soprattutto, un punto di merito istituzionale: l’inserimento nella legge di bilancio di disposizioni sui LEP — i livelli essenziali delle prestazioni — negli articoli 123 e seguenti. Qui siamo oltre la forzatura: siamo davanti a una scelta che tocca direttamente l’attuazione dei diritti sociali e civili. E questi diritti non si determinano con un colpo di penna contabile, infilati “surrettiziamente” in un testo che ha un’altra vocazione. I LEP non sono una tabella. Non sono un allegato. Non sono un numerino per chiudere una relazione tecnica. Sono una scelta politica delicatissima, perché bilanciano uguaglianza e autonomie, diritti e vincoli finanziari, e perfino diritti tra loro. Lo ha scritto la Corte nella sentenza n. 192/2024, ricordandoci che definire i LEP significa decidere il livello delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali con le risorse necessarie a garantire uno standard uniforme su tutto il territorio nazionale. E se è così, allora è altrettanto evidente che serve un procedimento serio, dedicato, trasparente, non un’infilata dentro la manovra a ridosso delle feste. Questo Parlamento, invece, non è un orpello. Non è un notaio. Non è un ufficio timbri. È il luogo dove la sovranità popolare prende forma in legge, con il conflitto regolato, con la discussione, con la possibilità reale di incidere. Se voi riducete la discussione a poche ore e blindate tutto, non state semplicemente accelerando: state svuotando la funzione parlamentare. E mentre accade questo, vediamo il resto del copione: una maggioranza che litiga su tutto, riscrive fino all’ultimo, e intanto trascina il Paese “a 24 ore” dal rischio di esercizio provvisorio. Vediamo tentativi di inserire in extremis norme che nulla c’entrano con il perimetro ordinario della manovra, come il blitz sul condono edilizio, poi trasformato in ordine del giorno solo dopo la reazione delle opposizioni. Noi non diciamo: “fermiamo tutto per fermare”. Noi diciamo: rimettiamo in asse il procedimento, restituiamo dignità a quest’Aula, separiamo ciò che va discusso con cura — i diritti essenziali, i LEP, l’uguaglianza territoriale — da ciò che è contabilità annuale. Perché se accettiamo oggi che i LEP si definiscano in manovra, domani accetteremo che qualunque grande scelta di indirizzo costituzionale venga infilata “a pacchetto”, in corsa, senza vera discussione.