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Nel suo spettacolo Il giaguaro mi guarda storto, Teresa Mannino trasforma un episodio apparentemente frivolo della sua infanzia – il desiderio di entrare nel Club Alpino Siciliano – in una riflessione più ampia sulla costruzione dell’identità, sugli stereotipi e sulla libertà di autodeterminarsi al di là delle aspettative sociali. A prima vista, il racconto sembra concentrarsi su un equivoco geografico: da bambina, la comica siciliana confondeva le Alpi con gli Appennini e, più avanti, arrivò addirittura a credere che le famose montagne attraversate da Annibale fossero dune africane. Attraverso questi paradossi, Mannino mette in scena un'ironica presa in giro della percezione infantile, ma il vero punto del discorso non è tanto la geografia quanto il modo in cui costruiamo il nostro immaginario in base a ciò che ci viene raccontato. La narrazione, che dovrebbe essere chiara e lineare, spesso genera confusione e interpretazioni distorte. Ma la storia non si ferma alla geografia. Il cuore del monologo risiede nel desiderio di Teresa bambina di essere come suo fratello, piccolo campione di sci, e nell’impossibilità di farne parte. Il desiderio di sciare non è dettato da una vera passione per la montagna – e il gelo di Bardonecchia, provato anni dopo, lo confermerà – ma piuttosto dalla necessità di affermarsi, di dimostrare di poter fare qualcosa che le veniva implicitamente negato. Qui il discorso si allarga e si intreccia con un tema molto più profondo: la differenza di trattamento tra maschi e femmine, ancora radicata nella cultura collettiva. Mannino sottolinea come la montagna e lo sci fossero considerati un territorio “da uomini”, e come questo bastasse per farle nascere un bisogno di sfida, quasi di ribellione. Non si tratta solo di un aneddoto personale, ma di una riflessione più universale su come il maschilismo possa condizionare le scelte, al punto da farci desiderare qualcosa non tanto per passione, ma per dimostrare di potercela fare. Il messaggio è chiaro: a volte i nostri desideri sono condizionati da ciò che ci viene negato, più che da ciò che realmente vogliamo. Ed è proprio qui che il racconto diventa più sottile e significativo. Mannino ci porta a interrogarci su quanti dei nostri sogni siano autentici e quanti, invece, siano solo una reazione a ciò che ci viene imposto o vietato. L’ironia sulla sua esperienza sciistica – dalle difficoltà nell’attrezzarsi all’incubo dello ski lift – diventa una metafora della scoperta personale. Quella che sembrava una battaglia di principio si trasforma in una consapevolezza: la montagna non faceva per lei. Eppure, c’era bisogno di quel viaggio per capirlo, per chiudere un cerchio aperto nell’infanzia. Il finale, con il suggerimento provocatorio di spostare la settimana bianca in Sicilia, è il colpo di coda perfetto. Le montagne siciliane ci sono, ma chi ha vissuto sempre vicino al mare, chi sente il sole sulla pelle come una seconda natura, difficilmente potrebbe apprezzare il gelo delle vette alpine. È una celebrazione dell’appartenenza, della riscoperta delle proprie radici, ma anche un invito a riconsiderare ciò che davvero desideriamo, al di là delle imposizioni e degli stereotipi. In definitiva, il monologo di Mannino non è solo una parentesi comica sullo sci, ma una riflessione più ampia su quanto sia difficile distinguere tra i desideri autentici e quelli imposti dall’esterno. Un messaggio che arriva con la leggerezza della risata, ma che lascia dietro di sé una domanda profonda: quello che vogliamo è davvero ciò che desideriamo?