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Aventisei anni di distanza da una delle pagine più oscure della storia recente delle Forze Armate italiane, arriva la parola fine sul caso di Emanuele Scieri, il giovane allievo paracadutista della brigata Folgore trovato morto il 16 agosto 1999 ai piedi della torre di prosciugamento dei paracadute nella caserma “Gamerra” di Pisa. La Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, ha infatti reso definitive le condanne per i due ex caporali Alessandro Panella e Luigi Zabara, accusati di omicidio volontario in concorso.Con la sentenza depositata ieri, i giudici supremi hanno respinto i ricorsi presentati dalle difese, confermando integralmente la decisione della Corte d’Assise d’Appello di Firenze pronunciata nel dicembre 2023. Le pene diventano così definitive: 22 anni di reclusione per Panella, che in primo grado era stato condannato a 26 anni, e 9 anni, 9 mesi e 10 giorni per Zabara, la cui pena è stata ridotta rispetto ai 18 anni iniziali. Resta in piedi anche l’obbligo al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili, tra cui la famiglia Scieri. Una verità cercata per oltre due decenni Il caso era stato riaperto nel 2017 dalla Procura di Pisa grazie all’allora procuratore Alessandro Crini, dopo anni di archiviazioni e interrogativi rimasti senza risposta. La nuova indagine aveva consentito di ricostruire il clima di nonnismo e vessazioni che regnava all’interno della caserma, e di individuare nei due caporali i principali responsabili della morte di Emanuele. Secondo la ricostruzione della Procura, la sera del 13 agosto 1999, Panella, Zabara e un terzo commilitone – poi assolto in via definitiva il 28 febbraio 2024 – aggredirono il giovane siracusano, costringendolo a spogliarsi, picchiandolo e umiliandolo. La vittima sarebbe stata poi obbligata a salire sulla torre di asciugatura dei paracadute, dove gli imputati avrebbero premuto con gli scarponi sulle sue dita fino a farlo precipitare nel vuoto. Scieri, rimasto agonizzante a terra per ore, non fu soccorso. Secondo le perizie, un intervento tempestivo avrebbe potuto salvarlo. L’ipotesi iniziale di omicidio preterintenzionale, ormai prescritta dal 2017, fu sostituita da quella di omicidio volontario, riconosciuta dai giudici come coerente con la brutalità dell’azione e con l’abbandono successivo della vittima. La madre di Emanuele: “Una lunga battaglia, ma la verità ha vinto” «Sono emozionatissima, la verità alla fine è emersa ed è definitiva”, ha dichiarato Isabella Guarino, madre di Emanuele, subito dopo la sentenza. «Dopo tanti anni di dolore e di battaglie, è stata finalmente scritta la parola giustizia”, hanno commentato anche i legali della famiglia, Alessandra Furnari e Ivan Albo, dedicando un pensiero al padre di Emanuele, che ha combattuto fino all’ultimo giorno perché la verità venisse alla luce». L’ex procuratore Crini: «Un debito pagato alla famiglia Scieri» «Questa decisione della Cassazione – ha commentato Alessandro Crini, oggi magistrato in pensione – è la conferma dell’impostazione che avevamo dato fin dall’inizio all’inchiesta. Dopo una vicenda giudiziaria lunga, travagliata e complessa, la sentenza definitiva rappresenta un debito pagato alla famiglia di Emanuele e un atto dovuto alla memoria di un giovane che serviva il Paese”. Un simbolo contro il silenzio e il nonnismo La morte di Emanuele Scieri, giovane avvocato siracusano laureato in Giurisprudenza e volontario nella Folgore, è diventata negli anni un simbolo della lotta contro le violenze e le coperture all’interno delle caserme. Il suo nome continua a evocare una riflessione profonda sulla cultura militare, sui meccanismi di omertà e sulla necessità di garantire la dignità e la sicurezza dei giovani in divisa. Oggi, con la parola definitiva della Cassazione, la giustizia chiude un capitolo doloroso della storia italiana, consegnando alla memoria collettiva non solo il ricordo di Emanuele, ma anche l’impegno a fare in modo che simili tragedie non si ripetano più.