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San Gerardo Maiella, religioso redentorista, nato presso Potenza nel 1726, morì nel 1755. Di famiglia povera, tentò invano di diventare Cappuccino, come uno zio materno. Fece il noviziato nei Redentoristi sotto la guida di Paolo Cafaro ed emise i voti come fratello coadiutore, svolgendo poi nel convento le mansioni più umili. Incaricato di organizzare pubbliche collette, ne approfittava per fare opera di conversione, per mettere pace e per richiamare al fervore religioso altri monasteri. Calunniato da una donna e, per la sua anima semplice incapace di difendersi, soffrì molto. Trasferito nella vallata del Sele, svolse in paesini isolati una grande opera di apostolato, comunicando a coloro che l'avvicinavano la sua ricchezza spirituale. Fin da giovanissimo, si erano rivelati in lui slanci mistici che lo portavano all'unione con Dio e, come ogni contemplativo, amava la natura e il bello. Gli dicono tutti di no. Cappuccini e Redentoristi non possono accoglierlo perché sta poco bene. Suo padre comincia a insegnargli il mestiere di sarto, ma muore troppo presto. Gerardo va al lavoro da un altro sarto di Muro Lucano, e più tardi si metterà in proprio, ma dovrà chiudere bottega. Torna a insistere con i Redentoristi, guidati dal loro fondatore Alfonso de' Liguori, e infine la spunta. Ma ha già 26 anni quando può pronunciare i voti nel convento di Deliceto (Foggia) col rango di fratello coadiutore, subordinato. Ma a lui va benissimo. Uscendo poi dal convento per questue e altre incombenze, s'immerge nella vita di paesi, persone, famiglie mortificate dalla miseria e dall'ignoranza, soggette ai signori, alle epidemie e alle crisi dei raccolti. Ne adotta lo stato d'animo, possiamo dire: ma lo arricchisce di fiducia. Non è certo un riformatore sociale: i grandi problemi gli sfuggono. Ma vede le persone, la loro sofferenza, e anche quella dei loro animali. S'ingegna, per esempio, di curare i muli, umilissimi strumenti di comunicazione nelle campagne che spesso sono anche senza strade. Accorre dove c'è un malato, dove sta nascendo un bambino. Hanno una grande fiducia in lui anche le partorienti, e questo stato d'animo diventerà poi devozione affettuosa e duratura. Nell'animo popolare la figura sempre amica di fra Gerardo lascia segni che dureranno nelle generazioni fino a noi, come testimoniano feste e pellegrinaggi in suo onore. Ma ecco arrivargli una prova inaspettata. Una lettera gli attribuisce relazioni almeno sospette con una ragazza, e lo stesso Alfonso de' Liguori sembra crederci. Allora, indagini, interrogatori, spostamenti vigilati da un convento all'altro, divieto di fare la comunione... Lui potrebbe ampiamente discolparsi: ma non ci pensa neppure. Non dice una sola parola. Lascia che dicano e facciano gli altri, prendendo tutto come una prova voluta per lui da Chi può discolparlo se e quando vorrà. Ed ecco infatti che l'accusa crolla, senza che lui abbia aperto bocca. E con questo silenzio mite e vittorioso l'umile fratello coadiutore "tiene lezione": ammaestra tutta la comunità. I confratelli scoprono di avere in casa un santo, e gli chiedono di mettere in scritto per loro il "regolamento di vita" che si è dato. Nel 1755 mentre è al convento di Materdomini presso Caposele, molte famiglie sono alla fame per il maltempo, e lui interviene organizzando la distribuzione di viveri. Una prova di capacità organizzativa, che fa poi nascere voci di miracolo, come è già accaduto altre volte. Nello stesso anno, Gerardo è colpito dalla malaria durante una questua. E dopo un breve miglioramento si spegne a Materdomini, a soli 29 anni d'età. Subito le popolazioni dell'Irpinia, della Basilicata e della Puglia lo considerano santo. E san Pio X lo canonizzerà nel 1904. Autore: Domenico Agasso