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Rosario Livatino nacque a Canicattì nel 1952, figlio di Vincenzo Livatino – impiegato dell'esattoria comunale – e di Rosalia Corbo. Conseguita la maturità presso il locale liceo classico Ugo Foscolo, dove s'impegnò nell'Azione Cattolica, nel 1971 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, presso la quale si laureò cum laude nel 1975. Tra il 1977 e il 1978 prestò servizio come vicedirettore in prova presso l'Ufficio del Registro di Agrigento. Sempre nel 1978, dopo essersi classificato tra i primi in graduatoria nel concorso per entrare nella magistratura italiana, venne assegnato presso il tribunale ordinario di Caltanissetta. Nel 1979 diventò sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e ricoprì la carica fino al 1989, quando assunse il ruolo di giudice a latere. Come Sostituto Procuratore della Repubblica si occupò fin dagli anni ottanta di indagare non soltanto su fatti di criminalità mafiosa ma anche di tangenti e corruzione. Nel 1982 aprì un'indagine sulle cooperative giovanili di Porto Empedocle, in particolare sui criteri con cui erano finanziate dalla Regione Siciliana. Inoltre, in base ad una sua intuizione, la Procura di Agrigento aprì un’inchiesta su un giro di fatture false o gonfiate per circa 52 miliardi di lire che gli imprenditori catanesi Carmelo Costanzo, Mario Rendo, Gaetano Graci ed altri ottenevano in tutta la Sicilia dalle ditte subappaltatrici per opere mai eseguite o appena cominciate; per competenza l’indagine passò, poi, a Catania e a Trapani. Nello stesso periodo, Livatino si occupò della prima grossa indagine sulla mafia agrigentina insieme ai suoi colleghi, i sostituti procuratori Salvatore Cardinale e Roberto Saieva e il giudice istruttore Fabio Salamone coordinati dal procuratore capo Elio Spallita, cui collaborò anche il maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli (poi assassinato nel 1992), la quale sarebbe poi sfociata nel maxi-processo contro i mafiosi di Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle, Siculiana e Ribera (Ferro Antonio + 43) che si tenne presso l'aula bunker di Villaseta (ex palestra sportiva) nel 1987 e si concluse con quaranta condanne. Nell'ambito di tale inchiesta, Livatino si trovò ad interrogare diversi politici dell'agrigentino (gli onorevoli Angelo Bonfiglio, Gaetano Di Leo e Calogero Mannino) sui loro rapporti con esponenti mafiosi locali. Nella sua attività si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli siciliana[8], utilizzando tra i primi lo strumento della confisca dei beni ai mafiosi. Venne ucciso il 21 settembre 1990 sulla SS 640 Caltanissetta-Agrigento all'altezza del viadotto Gasena (in territorio di Agrigento) mentre si recava, senza scorta, in tribunale, per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa nostra. Era a bordo della sua vettura, una vecchia Ford Fiesta color amaranto, quando fu speronato dall'auto dei killer. Tentò disperatamente una fuga a piedi attraverso i campi limitrofi ma, già ferito da un colpo ad una spalla, fu raggiunto dopo poche decine di metri e freddato a colpi di pistola. Tra i primi a giungere sul luogo del delitto il presidente del Tribunale di Agrigento Salvatore Bisulca, il procuratore Giuseppe Vaiola e i suoi ex colleghi Roberto Saieva e Fabio Salamone mentre da Palermo arrivarono il procuratore capo Pietro Giammanco e i procuratori aggiunti Giovanni Falcone ed Elio Spallita e da Marsala il procuratore Paolo Borsellino. Rosario Livatino è stato sepolto nel cimitero di Canicattì. Nel 1993 il vescovo di Agrigento, Carmelo Ferraro, ha incaricato la prof.ssa Ida Abate, che fu insegnante del giudice, di raccogliere testimonianze per la causa di beatificazione. Il 19 luglio 2011 è stato firmato dall'arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, il decreto per l'avvio del processo diocesano di beatificazione. Durante la fase diocesana hanno testimoniato 45 persone sulla vita e la santità di Rosario Livatino, e tra questi anche Gaetano Puzzangaro, uno dei quattro killer mafiosi del giudice. Il 6 settembre 2018 venne annunciata la chiusura del processo diocesano. Il 21 dicembre 2020 papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto riguardante il martirio, aprendo la strada alla sua beatificazione. Nel decreto si fa riferimento alla circostanza, già emersa nel processo contro gli assassini del giudice, che Giuseppe Di Caro, il capo della "famiglia" di Canicattì che abitava nello stesso palazzo in Viale Regina Margherita n. 166 in cui vivevano Livatino e i genitori, lo definiva con spregio "santocchio" per via della sua frequentazione quasi giornaliera della chiesa. La cerimonia di beatificazione si è svolta il 9 maggio 2021 nella Cattedrale di Agrigento. Livatino è il primo magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica.