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Con la mia voce, il "Discorso di Pericle agli Ateniesi" del 431 avanti Cristo, nella redazione di uno dei massimi storici dell'antichità, Tucidide, qui in versione vocalmente più interiore sia per farne risaltare meglio alcune sfumature, sia perché a microfono funziona meglio il rapporto 1 a 1, come se il destinatario del messaggio fosse una persona sola, il che non significa che non possa essere fruito in simultanea da più persone, attraverso i media, ma garantisce, più efficacemente, che ciascuno dei fruitori si percepisca come unico destinatario dei contenuti. Il testo ha la struttura comunemente nota, quella che prevede la ripetizione anaforica di una sorta di refrain, cioè la frase "Qui, ad Atene, noi facciamo così". Tale struttura non è quella di Tucidide, ma è stata impostata successivamente, per dare al discorso un tocco più teatrale. La versione nota espunge alcune frasi che Tucidide fa dire a Pericle, qui ripristinate di concerto con Alexandra Magna, che ringrazio per l'ennesima consulenza. Il tono generale, nella traduzione italiana pervenuta e comunemente accettata, è stilisticamente molto più elevato di quello tucidideo, più essenziale. Questo casomai qualcuno di coloro che normalmente mi seguono pensi che I Cavalieri dello Zodiaco siano il primo caso di innalzamento del registro linguistico nella traduzione italiana di contenuti di un certo respiro etico. Assurto ad apologia della democrazia, e come tale variamente citato e strumentalizzato in età moderna, il "Discorso di Pericle" rivisitato da Tucidide è probabilmente altro. Innanzitutto perché la democrazia di cui si parlava all'epoca era ben lontana da quella da noi comunemente intesa. Solo i cittadini ateniesi adulti di sesso maschile e che avessero completato l'addestramento militare godevano del diritto di voto; in sintesi, partecipava alla vita pubblica una percentuale oscillante tra il 10 ed il 20 % della intera popolazione presente. Questo, escludeva dalla partecipazione politica, oltre ai minori d'età, la gran parte della popolazione: donne, anche quelle discendenti da cittadini ateniesi (titolari della cittadinanza e di limitati diritti patrimoniali, ma sempre escluse dalla vita pubblica e spesso relegate in apposite sezioni delle abitazioni), schiavi, compresi coloro che avessero ricevuto la libertà ed infine i residenti stranieri. Ma, soprattutto, bisogna ricordare che "democrazia" era termine spregiativo utilizzato innanzitutto dai detrattori, in quanto il "kratos" era ritenuto imperio conseguito con la forza bruta. Era considerato una vera e propria dittatura. E infatti Pericle dice che quell'ordinamento "viene chiamato" democrazia. Chiamato da altri, evidentemente. Come andrebbero intese, pertanto, le parole del Pericle tucidideo? In esse vi è comunque la perenne antitesi, il perenne conflitto tra democrazia e libertà individuale, che in tutte le epoche è quasi sempre libertà del più forte. Laddove pertanto sembra che Pericle dica "viva la democrazia", è molto più probabile che le sue parole vogliano dire "noi siamo comunque liberi, come cittadini, di vivere e di agire, malgrado la democrazia". Detto questo, il testo è interessante per vari spunti che offre alla riflessione moderna. Il concetto di ordinamento politico che non imita quello altrui, ma per gli altri è esempio, unito alla definizione di Atene come "scuola dell'Ellade", ci ricorda quanto antico sia il vizio imperialistico di "esportare" il proprio modello di asserita "democrazia" (o in altra cronaca recente, di intransigente teocrazia), vizio che ai nostri giorni stiamo pagando piuttosto caro. La precisazione "non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza" sarebbe auspicabile anche ai nostri giorni, se non vogliamo che il concetto di democrazia finisca per appiattire le qualità individuali, disconoscendole e pertanto non incoraggiandole a manifestarsi. Il proponimento "se al prossimo piace vivere a modo suo, non gli infliggiamo umiliazioni" è, sulla carta, un invito alla tolleranza di strettissima attualità, così come di sconvolgente attualità è ancora il monito tale per cui un cittadino "non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private". L'assunto secondo cui "la povertà non è impedimento" all'esercizio dei propri diritti di cittadino stride un po' con l'attuale circostanza per cui in alcuni paesi la politica è attività riservata a veri e propri miliardari. Infine, "sebbene in pochi siano in grado di dare vita a una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla" è cosa auspicabile proprio in questi giorni, nell'imminenza di un referendum che potrebbe cambiare la storia dell'Europa. (with ita & eng subs)