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Nel cortile dell’Ospedale Niguarda, c’è un ulivo. Può sembrare una pianta qualunque, ma per chi conosce la storia, è un monumento vivente. Ottant’anni fa, sotto le sue foglie, è passata la riconoscenza di decine di partigiani salvati da una rete segreta di medici, suore e infermiere. E oggi, quella storia riemerge grazie a una targa appena affissa all’ingresso dell’ospedale. A donarla, l’A.N.P.I. Martiri Niguardesi, per ricordare chi tra il ’43 e il ’45 ha scelto il coraggio. La storia è tornata alla luce con il libro Malati di libertà, scritto da Daniele Pascucci, Riccardo Degregorio, Alessandro Schiavoni e Carlo Celentano. Un racconto fatto di testimonianze, documenti, e fughe incredibili: partigiani che scappano travestiti da medici, con gambe finte ingessate, o nascosti nel retro di un’auto. A orchestrare tutto, una rete clandestina in camice bianco: fra loro Maria Peron, Lelia Minghini, suor Giovanna Mosna – medaglia d’oro della Resistenza – e le donne del quartiere, insieme al parroco. Grazie al lavoro di Valerio Di Martino, la storia è diventata anche un docufilm. Una memoria che si fa immagine, voce, presenza. E che ci ricorda quanto il coraggio quotidiano possa cambiare il corso della Storia. In vista del 25 aprile, questa vicenda ci parla ancora. Perché la libertà non è mai stata solo conquista militare: è stata, ed è, un gesto civile. Un gesto umano. Come quello di chi, ottant’anni fa, scelse di salvare una vita, rischiando la propria.