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L’archeologo francese e “cacciatore di Neanderthal” Ludovic Slimak ha trascorso più di trent’anni esplorando vallate fluviali e rifugi nascosti, dai deserti del Corno d’Africa fino ai ghiacci del Circolo Polare Artico. Ma nessun luogo ha plasmato il suo pensiero quanto una silenziosa grotta nella valle del Rodano, nel sud-est della Francia: la Grotte Mandrin. È lì che Slimak, ancora giovane, iniziò a scavare — e da oltre vent’anni vi ritorna, stagione dopo stagione, rimuovendo con infinita pazienza gli strati di limo depositati dal vento Mistral. Quei sedimenti, sotto le sue mani, si sono trasformati in una vera e propria macchina del tempo, capace di raccontare millenni di storia umana e di svelare il misterioso incontro tra Neanderthal e Homo sapiens. Gli scavi di Mandrin hanno rivelato ondate successive di occupazione: prima i Neanderthal, padroni dell’Europa da centinaia di migliaia di anni; poi, improvvisamente, tracce di Homo sapiens, giunti con una tecnologia sorprendentemente raffinata. Più tardi, nuove ondate seguirono: quelle associate al Châtelperroniano, datato tra 46.000 e 45.000 anni fa, e al Proto-Aurignaziano, intorno ai 42.000 anni. Non si trattava di esploratori isolati, ma di comunità organizzate, capaci di diffondere un’intera tradizione tecnica e culturale su migliaia di chilometri. Mandrin, così, non è solo una grotta: è una testimonianza vivente della transizione più drammatica nella storia dell’umanità, il momento in cui una specie scomparve e un’altra prese il suo posto.