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Eduardo - 1976 - L'arte della commedia 10 месяцев назад

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Eduardo - 1976 - L'arte della commedia

L'arte della commedia Scritto nel 1964 Trasmesso in differita dal Centro di produzione RAI di Roma il 9 gennaio 1976 su Rai 2. EDUARDO: Oreste Campese FERRUCCIO DE CERESA: Prefetto De Caro WILLY MOSER: Veronesi LUCA DE FILIPPO: Quinto Bassetti PAOLO NGRAZIOSI: Giacomo Franci MARIO SCACCIA: Padre Salvati ANGELICA IPPOLITO: Lucia Petrella ARNALDO NINCHI: Montanaro MARINA CONFALONE: Moglie del montanaro GIULIO FARNESE: Girolamo Pica Eduardo De Filippo scrive L’Arte della Commedia (“Dialoghi più veri del vero in due tempi”) nel 1964, ma l’idea del lavoro risale a parecchi anni prima. Già nel 1953 in un’intervista a Raul Radice ne descrive la trama, molto vicina a quella della versione definitiva. E’ questo un testo di teatro in cui si parla di teatro. Non solo perché il protagonista, Oreste Campese, è un attore, o perché attori sono, o potrebbero esserlo, i personaggi che al secondo tempo sfilano davanti al prefetto di una cittadina di provincia per raccontargli le loro strane vicende; ma anche perché il teatro e la sua funzione nella società sono gli argomenti del lungo dialogo fra Campese e il prefetto che costituisce l’intero primo tempo della commedia. E anche nel prologo, che Eduardo pubblicò solo nell’ultima edizione, il protagonista, misurando a larghi passi il cortile della prefettura in attesa di essere ricevuto a colloquio, riflette tra sé su questioni teatrali ed espone i principi di una poetica che è poi anche quella del suo autore. Quando la commedia andò in scena, l’8 gennaio 1965 al Teatro San Ferdinando di Napoli, alcuni critici tirarono in ballo Pirandello e il suo “teatro nel teatro”. Ma Eduardo raccontò di essersi ispirato a un atto unico di un autore napoletano dell’Ottocento, Giacomo Marulli, intitolato I comici e l’avvocato. In questo atto unico un impresario si rivolge a un amico avvocato, autore teatrale per diletto, per chiedergli di scrivere una commedia per la sua compagnia; e gli propone di mandargli subito gli attori perché possa, dal colloquio con loro, ricavare qualche spunto. Ma l’avvocato non ha tempo di riceverli: deve andare a discutere una causa importante. Il capocomico però insiste e finisce addirittura per scommettere che egli incontrerà i suoi attori prima di recarsi in tribunale; premio della scommessa sarà proprio l’impegno dell’avvocato a scrivere il lavoro. Il capocomico se ne va e nello studio cominciano ad affacciarsi, insistendo per essere ricevuti, diversi personaggi: una giovane innamorata, un soldato, una vivandiera, un poeta, i quali irretiscono l’avvocato in un mare di questioni bislacche impedendogli di andarsene. Naturalmente l’ultimo a fare il suo ingresso nello studio è proprio il capocomico, che viene a esigere il premio della scommessa. Scegliendo un finale aperto, che non spiega e non risolve ma lascia in campo tutte le possibili varianti del gioco teatrale, Eduardo invita gli spettatori a considerare il rapporto fra realtà e finzione da una duplice prospettiva: non solo quella di un teatro che guarda alla società e che — come dice Campese — mette “l’occhio al buco della serratura” per riportare sulla scena storie di vita, pezzi di realtà; ma anche quella di una società civile che guarda al teatro considerandolo non un passatempo futile, una realtà marginale, ma uno specchio in cui riflettersi per conoscersi meglio. Per dirla con Campese, più ancora che i fatti, “sono le circostanze che contano”; quelle stesse circostanze che poi producono i singoli fatti concreti. Ed è delle circostanze, non dei fatti, che il teatro deve occuparsi. Come si vede, a questo punto del suo lavoro Eduardo si è già molto allontanato dalla farsa napoletana da cui ha preso spunto. Le problematiche che tratta sono assai più complesse, anche se il gioco teatrale, nel suo meccanismo, non cambia granché. Allo stesso modo, fin dal primo tempo della commedia, Eduardo autore prende le distanze anche dalle problematiche pirandelliane del “teatro nel teatro”, da quello che Campese chiama “il problema dell’essere e del parere”; e lo fa per bocca del suo personaggio. Teatro e potere parlano due linguaggi profondamente diversi. E sugli esiti di questo confronto Eduardo autore non esita a esprimere il proprio pessimismo. Drammaturgicamente però la sordità del Prefetto e le divergenze di opinione fra lui e Campese producono effetti interessanti e fanno sì che il lungo dialogo a due voci che costituisce l’intero primo tempo della commedia, ben lungi dall’apparire statico, poco teatrale, povero di azione — come apparve ad alcuni critici — si presenti invece come una vera e propria battaglia, una battaglia di idee in cui ciascuno combatte nel modo che gli è proprio: il Prefetto con l’arrogante alterigia che spesso si associa al potere, il capocomico con una mitezza e un’acquiescenza apparenti che nascondono in realtà la difesa caparbia delle proprie idee. Da Teatro 99 posti.it: https://www.teatro99posti.com/l-arte-...

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