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Lo straziante epilogo dell'odissea magiara (421 minuti) di Sátántangó, film diretto da Tarr Béla nel 1994 e tratto dal romanzo di Krasznahorkai László. “Un mattino d'ottobre, quando le prime gocce delle lunghe piogge autunnali, che, cadendo sulla terra disseccata, trasformano i sentieri in pantani e separano la città dai dintorni, Futaki fu destato dal suono delle campane. La cappella, isolata a otto chilometri, non aveva una campana. Anche il suo campanile era stato distrutto durante la guerra. La città era troppo lontana e i suoi rumori non giungevano fin là”. Così inizia il film. Il medico (a Doktor) del villaggio vuole ora scoprire il mistero di questo risuonare inspiegabile e misterioso e s'incammina verso il campanile, a otto chilometri a sud-ovest dal villaggio ungherese. Troverà solo la follia di un uomo perso nei meandri della storia: "jön a török, jön a török, jön a török". "Arrivano i turchi", così grida il folle colpendo con forza una sbarra di ferro. Il medico, che guarda la vita degli altri scrivendone la storia, cercando un senso nelle trame della (loro) quotidianità, per lui contrassegnata invece dal consumo di brandy, ritorna alla propria abitazione e chiude con assi in legno la finestra dalla quale guardava la vita del villaggio: rinunciando così al racconto, si chiude nel buio della rinuncia allo sguardo sul mondo. Capolavoro assoluto.