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Kampala (askanews) - Il 6 febbraio si celebra la giornata mondiale della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili (Fgm); una pratica che l'Unicef e l'Unfpa, il Fondo dell'Onu per la popolazione ritengono una vera e propria "violazione dei diritti umani" e mirano a debellare completamente entro il 2030. Si conta che nel mondo ne siano vittime oltre 200 milioni di donne e ragazze, in gran parte di età inferiore ai 15 anni. Di queste si stima che almeno 80mila siano anche in Italia. Ci sono zone del pianeta, però, in cui eradicare questa pratica, nonostante le leggi e i divieti, è una vera battaglia. In Uganda, per esempio, le infibulazioni sono state bandite dal 2010 eppure in alcune aree remote del Paese vengono ancora praticate in segreto, ad esempio sulle bambine o le giovani spose della tribù Pokot, in Karamoja, per assicurare la loro fedeltà durante i periodi di assenza dei mariti. "Ogni volta che partorisco devo subire un parto cesareo - dice la giovane Christine, infibulata all'età di 12 anni - in ospedale ci dicono di smettere con le Fgm perché non va bene, stiamo soffrendo". Le mutilazioni genitali femminili possono avere effetti devastanti sulla salute di chi le subisce, come cisti, infezioni, emorragie, disturbi urinari e gravissime complicanze durante il parto. Se la tendenza non verrà invertita, secondo Save the Children, almeno altri 15 milioni di ragazze entro il 2030 saranno sottoposte a questa pratica, rischiando di subire pesanti conseguenze fisiche e psicologiche. Pertanto, in Uganda, Onu e Unicef insieme alle Ong locali, stanno lottando per fermare le infibulazioni sostituendole con altri rituali per preservare la cultura e le tradizioni locali.