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Nei campi di concentramento nazisti, l’orrore non si limitava allo sfruttamento e allo sterminio sistematico. Molte guardie delle SS trasformavano la sofferenza dei prigionieri in un macabro passatempo, organizzando “giochi” sadici senza senso, gare fisiche estreme, umiliazioni pubbliche e torture mascherate da intrattenimento. Correre nudi sulla neve, cantare inni nazisti sotto le percosse, mettere in scena parodie degradanti o scavare buche per poi riempirle di nuovo facevano parte di un repertorio di crudeltà compiute unicamente per divertimento. Il sadismo si estendeva anche all’uso dei prigionieri come bersagli umani per l’addestramento dei cani, ad aggressioni sessuali sistematiche e alla manipolazione psicologica volta a spezzare lo spirito degli internati. Donne, uomini e bambini potevano essere trasformati in “animali domestici umani”, esibiti, ridicolizzati o usati come servitori personali. L’umiliazione era costante e collettiva: dalle punizioni pubbliche pensate per distruggere la dignità ai finti atti di liberazione che terminavano con esecuzioni. Tutto serviva a riaffermare il potere assoluto del carnefice sulla vittima. Questi passatempi non avevano alcun valore militare o disciplinare: erano il prodotto diretto dell’impunità e di una cultura della violenza diventata routine. Tra risate, scommesse e brindisi, le guardie raccontavano le loro azioni come aneddoti, rafforzando un legame di cameratismo basato sulla crudeltà. Ciò che per loro era svago, per le vittime era un altro capitolo dell’inferno. Ricordare questi fatti non solo rivela la dimensione più perversa del sistema nazista, ma anche come il potere senza limiti possa trasformare la violenza in spettacolo.