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Dopo una lunga carriera tra insegnamento, uffici tecnici e dirigenza scolastica, Vito Ilacqua lascerà ufficialmente il suo incarico il 1° settembre. Alla guida dell’Istituto Superiore “Falcone” di Gallarate, ha tracciato un percorso fatto di innovazione, attenzione ai bisogni degli studenti e visione pedagogica che mette la persona al centro. “Non siamo qui per formare numeri, ma per aprire le menti” ha affermato nell’intervista di commiato Ilacqua, con una visione di scuola ben precisa, “Fare scuola fuori dalla scuola” e soprattutto che “la scuola è una palestra di vita e come tale deve essere concepita”. Ilacqua ricorda con emozione il suo primo anno da docente, quando insegnava in un corso serale: “Ero il più giovane della classe. Quei ragazzi lavoravano tutto il giorno e venivano a scuola la sera. Ho ancora in mente i loro nomi. Porterò sempre con me il rispetto e la stima che provavo per loro”. Arrivato al “Falcone” nel 2000 “quasi per caso”, si è trovato a gestire l’ufficio tecnico e poi, nel tempo, a guidare l’intero istituto. Una delle sue più grandi intuizioni è stata quella di costituire il Polo per la sicurezza, già nel 2008: “In Italia il tema era poco sentito, mentre in Europa era centrale. Così abbiamo formato studenti sul campo con certificazioni reali, inserite nei percorsi scuola-lavoro (PCTO)”. Nel suo bilancio rientrano anche progetti rivolti alla scuola primaria Gerolamo Cardano – come il progetto Campus, con ore pomeridiane di recupero in italiano, matematica e inglese, “Per colmare quelle carenze di base i cui risultati si sono visti poi nel futuro”, non dimenticando al Falcone soluzioni logistiche innovative: “Con la rotazione delle classi abbiamo potuto ospitare 1800 studenti in una struttura da 1300”. Sul fronte dell’innovazione educativa, per Ilacqua il cambiamento non è tecnologico, ma umano: “Innovare vuol dire entrare in relazione, essere empatici, soprattutto dopo il Covid. I ragazzi oggi hanno bisogno di fiducia, e la fiducia si costruisce nella quotidianità. Ogni studente è diverso, con fragilità e risorse. Tocca a noi docenti prenderli per mano” e aggiunge “Con una didattica però integrata per quanto riguarda le esigenze anche del mondo del lavoro”. Tra le sue proposte per il futuro c’è un modello formativo più flessibile: “Mi auguro che si possa introdurre un sistema ‘4+2+1’ che tenga conto dei bisogni del territorio e delle vocazioni degli studenti e nel rispetto delle famiglie” e una scuola “modello Campus”, come nella trattazione di tesi nel 2000 di Ilacqua “Dirigere oltre gli schemi” (ancora disponibile sul sito dell’Università di Bergamo), dove ognuno possa andare avanti con il proprio passo, senza bocciature. Questo è il modello al quale bisognerebbe ispirarsi e far sì che la scuola non sia inquadrata come adesso in uno stile napoleonico. Ma la scuola deve essere per tutti, ognuno col proprio passo”. Sul disagio giovanile post-pandemia è netto: “Il Covid ha amplificato ansia e insicurezze. Gli psicologi a scuola sono utili, ma servono percorsi personalizzati. L’importante è intercettare subito i segnali di disagio”. In conclusione, il dirigente lancia un appello ai docenti e agli studenti: “Ai ragazzi dico di coltivare rispetto e umiltà, le vere soft skills. E a noi adulti, ricordo che il nostro compito è aprire le menti”.