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In via del Porto di Ripetta, all'atezza di Piazza Augusto Imperatore, c'è un palazzo degli anni '30 del novecento dove sono esposti al pubblico tre affreschi che riproducono la Roma ottocentesca, la Roma scomparsa. I tre affreschi sono: "Piazza di Spagna", con la fontana della barcaccia e la scalinata di Trinità dei Monti, con le carrozze, i cavalli e le persone che passeggiano; "Il Porto di Ripetta", con le imbarcazioni fluviali, i pescatori, i facchini etc.; "Piazza del Popolo" con la "corsa dei Barberi". Proprio davanti a quest'ultimo affresco vi racconto l'origine del detto romanesco "Nun me mette la prescia ar culo!" [non mettermi la prescia al culo!] oppure "Che c'hai la prescia al culo?" [che hai la prescia al culo?], utilizzato per dire di non darci fretta nel fare qualcosa o nel domandate a qualcuno se ha fretta, se è frettoloso. Proprio da quessta piazza partiva la corsa dei Barberi, cioè la corsa dei cavalli berberi che si faceva durante il Carnevale romano. La particolarità è che i cavalli correvano senza fantino lungo l'attuale via del Corso concludendo la gare in piazza Venezia. La parola "prescia" potrebbe derivare dal latino "pressa" che significa premuto oppure dal francesce "presse" che può significare frettoloso, urgente, avere fretta. Accadeva che per far correre più velocemente i cavalli veniva spalmata sotto la coda dell'animale, all'altezza dell'ano, una miscela urticante, una specie di pece, composta da peperoncino, pepe, ortica ed altre erbe. Questo miscuglio veniva premuto sull'ano del cavallo. Da qui l'origine del detto "Nun me mette la prescia [ar culo!].