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"Il caimano del Piave" fu uno dei maggiori successi del 1953, fondendo melodramma popolare e rievocazione patriottica sullo sfondo delle vicende belliche della Prima Guerra Mondiale. Il titolo stesso non deve apparire incongruo, dato che i "caimani del Piave" erano coloro che facevano parte di uno speciale reparto di 'Arditi' e 'Bersaglieri', esperti nell’attraversare il fiume omonimo. Nel film, il protagonista è anche un 'irredento' di Trieste, ovvero un disertore dell’esercito austriaco poi fuggito e arruolato come specialista fluviale in una serie di azioni di collegamento. Il realismo bellico è ben rispettato dalla regia di Giorgio Bianchi, solitamente più a suo agio nelle numerose commedie leggere di quegli anni. Ma lo sfondo del film resta quello del melodramma, con al centro la bella interpretazione di Gino Cervi (colonnello di Torrebruna) e dell’eroina del film, Milly Vitale (Lucilla di Torrebruna, figlia del colonnello), mentre Frank Latimore interpreta Franco, il “caimano” della vicenda. Il film sembra adombrare una sottile somiglianza tra gli occupanti austriaci del periodo storico rappresentato e altri occupanti: i nazisti in fuga dal Veneto alla fine della Seconda guerra mondiale, insieme ai collaborazionisti fascisti locali. Nel film, la bella Helene, seconda moglie del colonnello, favorisce gli ufficiali austriaci che si stabiliscono nella sua villa padronale. Simili a quelle naziste appaiono anche le azioni di rappresaglia degli austriaci contro i contadini locali, colpevoli di nascondere soldati italiani feriti o oppositori. Altra figura eroica, che richiama comportamenti patriottici ben noti alla storiografia popolare (come quello di Enrico Toti), è quella del giovane ammalato di polio soprannominato 'Ciapin' (interpretato da Francesco Golisano), che, trascinandosi sulle stampelle, resta ucciso mentre cerca di avvertire Franco durante la sua ultima incursione al di là del Piave. Tutti questi richiami e riferimenti all’epica patriottica e post-bellica fanno capire come il contenitore narrativo del melodramma popolare si prestasse a numerosi innesti e manipolazioni, che potevano essere ancora, negli anni Cinquanta, decodificati e apprezzati dal grande pubblico, il quale si nutriva di tali narrazioni filmiche.