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Nel 1916, trasportare un cannone del peso di 6 tonnellate - simile a quelli che vedete scorrere alle mie spalle - fino a 3.000 metri di quota rappresenta un’impresa ai limiti dell’impossibile. Giunti ad un certo punto, con i mezzi dell’epoca, il solo modo per issarlo fin lassù è farlo trascinare dagli uomini a forza di braccia. Nel 1916 I comandi italiani nel settore dell’Adamello si sono resi conto di aver bisogno di un’arma di quelle dimensioni sulle cime più elevate per appoggiare gli attacchi degli Alpini, colpendo le postazioni avversarie da posizioni dominanti. Il trasporto in quota di pezzi di piccolo calibro ha già evidenziato le difficoltà che questo genere di operazioni comporta. Ora si sta parlando di un cannone da 6 tonnellate. Un enorme cannone 149 G, dove la “G” sta per “ghisa” La materia con la quale è stato fuso. Un pezzo a retrocarica di medio calibro, sistemato su di un affusto rigido che scarica a terra la forza del rinculo attraverso grosse ruote di legno e che pesa 6.050 kg. Ha una canna di quasi 4 metri e una lunghezza totale di poco inferiore si sei metri. È un pezzo potente e preciso ma antiquato proprio a causa del suo affusto rigido. La nostra industria ancora non è in grado di realizzare affusti a deformazione, provvisti di freni idraulici, che possano contenere la forza del rinculo così da riportare la bocca da fuoco nella corretta posizione di puntamento. Ogni singolo colpo del 149 fa sobbalzare tutto all’indietro e gli artiglieri lo devono ripuntare ogni volta. Per ovviare a questo problema i pezzi da 149 sono equipaggiati con un pancone in legno sul quale viene sistemata la coda e con due cunei, anch’essi in legno. Il pancone è sorta di slitta che con il suo attrito sul terreno, frena la corsa all’indietro del cannone il quale, spinto dalla forza del rinculo arriva a salire su per i due cunei che, altro non sono che piani inclinatII dai quali poi ridiscende fino a recuperare la posizione originale. Per questo la normale cadenza di tiro è molto lenta: un colpo ogni sei minuti. La massima è invece di un colpo ogni due minuti. Gli Alpini che devono trasportare il cannone fino in vetta, a causa della sua mole, lo ribattezzano «ippopotamo» e a prezzo di fatiche enormi riusciranno a trascinarlo fino ad una selletta a in prossimità di Cresta della Croce Occorrono duecento fra artiglieri, genieri ed alpini per issarlo lassù, a 3.136 metri di quota. Sino a quando quel glorioso cannone in ghisa, che aveva già sulle spalle la campagna di Libia, non era giunto in zona, trasportare in montagna un pezzo di quel calibro era stata considerata impresa impossibile. Dalla stazione ferroviaria di Edolo, il pezzo da 149 mm viene prima trasportato al villaggio di Temù: vi arriva il 9 febbraio 1916. Quello stesso giorno, trainato da cavalli, il cannone s ale fino ai 1.580 metri di Malga Caldea. Qui deve essere smontato. La neve alta rende necessario che il suo viaggio continui con altri mezzi: canna, affusto e ruote sono separati e caricati su tre slitte che si spostavano spinte dalla forza delle braccia e delle gambe di 200 uomini. I 3.236 metri del Passo del Venerocolo rappresentano la destinazione finale dell’«ippopotamo» ma prima di raggiungerli, la carovana dei 200, dovrà fare tappa al Rifugio Garibald. Tutta una serie di drammatici imprevisti, ostacola la marcia, frapponendosi fra gli uomini che trascinano il 149 e la loro meta. Il più grave di tutti assume le forme di una valanga che si abbatté sull'arma, seppellendola sotto metri di neve. Il viaggio si arresta e per una settimana gli alpini sono costretti prima a cercare con lunghe perti che, sondando la neve, e poi a scavare per riportare alla luce l’ippopotamo che la valanga si è trascinato via. Prima dei 2553 metri del Rifugio Garibaldi , un ultimo tratto di mulattiera che – per le sua difficoltà - i combattenti dell'Adamello hanno ribattezzato in modo inquietante il «Calvario», rappresenta l’ennesima sfida da superare. Nemmeno il «Calvario» però, riesce ad arrestare l'avanzata del cannone. Il 7 aprile, l'«ippopotamo» raggiunge il Rifugio Garibaldi. Da lì il cannone impiega ancora altri 20 giorni di faticosissima avanzata fra la neve per superare gli ultimi 683 metri di dislivello e raggiungere a quota 3.236 il Passo del Venerocolo. In tutto il viaggio dell’ippopotamo è durato 78 giorni ed è costato la vita di molti uomini. È di lassù il cannone che appoggerà il vittorioso attacco delle penne nere al Crozzon di Folgorida del 29 aprile. Un anno più tardi, quando l'operazione contro il Corno di Cavento comincia a delinearsi, si presenta la necessità di spostare di nuovo l'«ippopotamo» verso un'altra posizione dalla quale potrà meglio sostenere l'attacco degli alpini che si lanceranno alla conquista della vetta. La notte del 6 giugno, 200 fra artiglieri e Alpini, trascinano di nuovo il pezzo a forza di braccia e gambe attraverso il ghiacciaio del Mandrone, sino alla sua destinazione finale a Da Cresta della Croce.