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È caduta una donna (1941) è un film diretto da Alfredo Guarini Isa Miranda in "È caduta una donna", pagine della vita di una ragazza qualunque ispirate dal romanzo di Milli Dandolo. Inizia così il film con un sottotitolo a mio avviso neutro e fuorviante in quel sostantivo ragazza che mal si associa all'educazione del tempo, in cui l'età intermedia non esisteva e si passava da quella di ragazza a quella di donna senza niente in mezzo. Dina (Isa Miranda) è costretta a lasciare il paese per via di una gravidanza non voluta con un uomo ricco che non vuole sposarla. Decide allora di trasferirsi in una grande città (Milano) per trovare lavoro. Dopo vari colloqui è modella di uno scultore. Durante una seduta di posa si sente male, lascia lo studio e scendendo le scale di un grande palazzo milanese suona il campanello di un dottore: Roberto Frassi (Rossano Brazzi). Nonostante il suo fermo proposito di abortire, il dottore la dissuade, Dina avrà un bambino. La ritroviamo in clinica a parto avvenuto in cui fa conoscenza con una ragazza che le propone il lavoro di modella in una importante sartoria di Milano. Il lavoro, l'agiatezza economica, l'amore per il proprio figlio, il successo, tutto arride a Dina che finalmente sembra essersi lasciata il passato alle spalle. Durante un veglione di fine anno incontra un ricco industriale (Luigi Pavese qui giovanissimo e magro ma con la solita voce stentoreoa che ha cullato la nostra giovinezza in tanti doppiaggi d'epoca). Rifiuta la sua proposta di matrimonio e allo stesso veglione incontra il dottore che l'aveva aiutata nella difficile decisione di non abortire. I due si innamorano e si sposano nonostante l'opposizione dei genitori di lui. Una sera a casa della coppia arriva una signora anziana che vuole parlare con Dina. Il padre del bambino è morto, la donna è la madre rimasta sola e senza eredi. Chiede a Dina il nipotino per alleviare il suo dolore e non disperdere il patrimonio del figlio. Dina rifiuta la proposta, la donna nel lasciare la stanza vaneggia di una profezia contro Dina. Il matrimonio con Roberto si incrina, consigliata dalla governante di casa Dina decide di accettare la proposta della nonna ed affidargli il bambino. La sera stessa a teatro, colta da rimorso, si accorge che l'essenza dalla sua vita stessa è suo figlio. Tornata a casa cerca disperatamente la governante che però è già uscita con il bambino per portarlo dalla donna. Dina scende in strada in una Milano nebbiosa e solitaria, pochi passanti camminano per strada, corre lungo il marciapiede, ad un incrocio viene investita da un auto. Muore in un letto del pronto soccorso, il suo sguardo seppur sofferente sembra rilassato mentre chiama suo figlio per l'ultima volta. Questo film intenso, tormentato e malinconico vede Isa Miranda unica diva e grande attrice. Il processo di disgregazione del cinema dei telefoni bianchi si attuerà anche con queste opere minori. Si arriverà così gradatamente al neorealismo con gli stessi autori ed interpreti che ne costituiranno l'ossatura, non a caso tra gli sceneggiatori della pellicola troviamo anche Cesare Zavattini. Il tragico finale di Isa Miranda che muore per ricongiungersi al figlio, ci mostra una donna sola nella bruma di Milano. La sua vita si è consumata nell’attesa di un momento di felicità che non è mai arrivato. Il melodramma non è ancora consolatorio come avverrà per Matarazzo nel dopoguerra. La protagonista per tutto il film attraversa una dopo l’altra situazioni in cui non è libera di scegliere. Sarà la stessa società borghese che le farà portare a termine la gravidanza indesiderata, a considerare poi il figlio un ostacolo per il matrimonio con lo stessa persona che l'aveva convinta a non abortire: Roberto. Isa Miranda, nel suo arrivo a Milano in cerca di fortuna, nel suo volto statuario, nelle sue toelette eccentriche di indossatrice, è qui donna borghese le cui origini contadine mescolano la struttura classica del melodramma la cui conclusione tragica avviene di notte di una Milano in tempo di guerra. [continua nel commento in evidenza]