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Ottobre 1917. Dopo il disastro di Caporetto, il mondo rideva dell'Italia. Trecentomila prigionieri, un esercito in rotta, persino re Giorgio V faceva commenti sprezzanti sui soldati italiani. Lo stereotipo del militare italiano vigliacco nasceva in quei giorni. Ma nelle retrovie, qualcosa stava cambiando. Il colonnello Giuseppe Bassi stava addestrando uomini con metodi che nessuno aveva mai visto. Tecniche di combattimento medievali dal manuale Fior di Battaglia. Arti marziali giapponesi insegnate da un poeta arruolato volontario. Armi rivoluzionarie come la Villar Perosa, che sparava milleduecento colpi al minuto un anno prima dei tedeschi. Li chiamavano Arditi. Diciottomila volontari che attaccavano le trincee nemiche mentre l'artiglieria stava ancora sparando, armati di pugnali e granate. Il loro motto era semplice: o la vittoria, o tutti accoppati. Perdevano il trenta per cento degli uomini in ogni assalto. Ma vincevano sempre. A Col Moschin, il maggiore Giovanni Messe conquistò tre cime in ventiquattro ore con seicento uomini. Sul Piave, i Caimani nuotavano di notte con i coltelli tra i denti per colpire le postazioni austriache. A Vittorio Veneto, due divisioni d'assalto sfondarono il fronte e catturarono trecentocinquantamila prigionieri in dieci giorni. Ludendorff scrisse che senza quella battaglia, la Germania avrebbe potuto resistere un altro inverno. I prigionieri austriaci raccontavano degli uomini in nero con terrore. E oggi, il 9° Reggimento Col Moschin porta ancora il loro nome, il loro pugnale, la loro tradizione. Questa è la storia vera degli Arditi, il corpo più temuto della Grande Guerra. FONTI: Le informazioni storiche per questa ricostruzione provengono da fonti documentate e archivi militari verificabili. Per la storia generale degli Arditi, le fonti principali sono gli archivi dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito Italiano e i documenti conservati presso il Museo del Risorgimento di Torino, dove sono esposti pugnali e granate originali dei reparti d'assalto. Le specifiche sull'addestramento e le tattiche derivano dal volume "Arditi: Le truppe d'assalto italiane 1917-1920" di Angelo Pirocchi, pubblicato dalla Libreria Editrice Goriziana, e dal libro "Hell in the Trenches: Austro-Hungarian Stormtroopers and Italian Arditi in the Great War" di Paolo Morisi, edito da Helion and Company, che utilizza diari di guerra austriaci e italiani, manuali ufficiali e rapporti del Comando Supremo precedentemente inediti. Per la battaglia di Col Moschin e le azioni del maggiore Giovanni Messe, le informazioni provengono dai rapporti operativi del IX Reparto d'Assalto e dalla biografia ufficiale di Messe conservata negli archivi della Marina Militare Italiana. La storia dei Caimani del Piave è documentata negli archivi della Brigata Marina San Marco e nelle testimonianze raccolte dal Museo Navale di La Spezia. Il capitano Remo Pontecorvo è citato nel "Diario di un Fante" dell'onorevole Luigi Gasparotto, pubblicato nel 1919. Le citazioni di Ludendorff sulla battaglia di Vittorio Veneto provengono dalle sue memorie di guerra, tradotte e pubblicate in diverse edizioni europee. I rapporti austriaci sul terrore causato dagli Arditi sono conservati negli Archivi di Stato di Vienna. Per l'eredità moderna, le informazioni sul 9° Reggimento Paracadutisti d'Assalto Col Moschin derivano dalla documentazione ufficiale del Comando Forze Speciali dell'Esercito e dagli articoli pubblicati dalla rivista Difesa Online. L'adozione del basco grigio-verde nel 2019 è documentata nei comunicati ufficiali del Ministero della Difesa italiano. Ulteriori riferimenti includono l'Enciclopedia della Prima Guerra Mondiale 1914-1918 Online, gli studi dello storico navale John Farina, e le ricerche pubblicate dall'Associazione Nazionale Arditi d'Italia.